La bambina delle nuvole - L'incipit del romanzo

Luna rossa, mezza luna
Oltre il muro c’è una duna
C’è una terra che mi manca
C’è il mio mare, riva bianca
Mezza luna, luna rossa
Fa che libera io possa
Ritornare alla mia terra
Nel mio mare, senza guerra.



Era successo tutto per caso, dopo un litigio con Ali Salem. Aminatou era scappata dalla sua khaima ed era corsa verso il deserto, lontano, più lontano che poteva dal Campo Profughi. Le capitava spesso in quel periodo di litigare con Ali Salem e col nonno e di desiderare di scappare più lontano che poteva. “È l’età” aveva detto il nonno ad Ali Salem, “anche vostra madre faceva così alla sua età.” Aminatou non sapeva se era l’età. Sapeva solo che certe volte, chissà perché, le persone che conosceva da sempre le apparivano improvvisamente estranee, e gli spazi chiusi troppo piccoli per contenere tutte le sue emozioni. Si sentiva mancare il respiro e doveva scappare via. E quella volta, mentre correva nella hammada, a un certo punto il respiro le era mancato del tutto. Aminatou si era lasciata cadere nella sabbia e non sentiva più le gambe per quanto aveva corso, ma le mani le sentiva, e con le mani si era messa a scavare. Sì, per scappare via dal Campo si sarebbe fatta una buca, una buca tutta sua nel deserto, si sarebbe ricoperta di sabbia e sarebbe rimasta lì per sempre. Una buca con le sue mani, come quella che avevano scavato trent’anni prima i suoi genitori per salvarsi dai bombardamenti dell’aviazione marocchina mentre fuggivano dal Sahara Occidentale. “Le tue mani sono mani da nomade, come quelle di tua nonna” le aveva detto una volta il nonno. Quanto avrebbe voluto essere una nomade, in quel momento, una nomade senza confini, una bambina libera di andare dove voleva, dalle sponde dell’Atlantico a Medina. “Povera Aminatou” si disse, “dove vuoi andare?” Si mise a scavare con tutta la rabbia che aveva e più scavava più la rabbia le passava. Ormai la buca era bella grande, tanto che avrebbe potuto comodamente stendersi dentro. Si era messa ad accarezzare il fondo della sua buca e più lo accarezzava più sentiva che la sabbia le faceva bene. La sabbia le accarezzava il cuore, le cancellava la tristezza, di questo si era già accorta molte volte. Ed era stato allora che aveva fatto la sua scoperta. Aveva visto sul fondo della buca una punta, una punta bianca madreperlata, e scavando ancora aveva trovato una conchiglia. Una conchiglia grande, una conchiglia di mare nel bel mezzo del deserto algerino. Piena di sabbia, ma non solo. Dalla cavità erano sbucate tre piccole cose che le erano parse preziosissime: una collanina d’oro e due garofani secchi. Aminatou aveva guardato in cielo e ringraziato la sua stella, che di giorno non si vedeva, ma sicuramente c’era. L’aveva ringraziata di aver messo sul suo cammino, nel posto più desolato del mondo, nei Campi Profughi di Tindouf, una conchiglia di mare, una collanina d’oro e due garofani secchi in un momento in cui si sentiva davvero disperata. Aminatou aveva indossato la collanina d’oro e sistemato nei capelli i due garofani secchi, poi aveva svuotato bene bene la conchiglia di tutta la sabbia e si era messa ad ascoltare il mare. Una volta il nonno le aveva raccontato che le conchiglie sono così innamorate del mare che non possono stare senza la sua voce. Per questo, quando si perdono nella sabbia lontano dal mare, si portano dentro un filo della sua voce. È un filo così flebile che quasi non si sente, perché sono tante le conchiglie e la voce del mare si divide tra tutte. Ma se uno sta in silenzio e ascolta con attenzione, la voce del mare si sente come un onda, che va e viene, va e viene. Era stato un miracolo ascoltare il mare a Tindouf. Un vero miracolo. Poi all’improvviso le era venuto un grande senso di vuoto alla pancia, una nostalgia immensa. Come aveva potuto vivere tutti gli undici anni della sua vita senza avere mai visto il mare?